Monday, August 29, 2005

Home Alone. Intervista a Stephen Malkmus

Atto primo:
Il giovane cronista prende il telefono. E’ visibilmente emozionato. Mentre compone il numero pensa a quante volte ha ascoltato questa voce su disco, alla volta in cui lo ha visto dal vivo, e a quelle in cui si è ritrovato, con gli amici, a cantare a squarciagola Here.
Il telefono suona libero. Il giovane cronista è carico ed emozionato.Vuole fare una grande intervista, o per lo meno una buona.
Anche mediocre non sarebbe male. L’importante è non farsi attaccare il telefono in faccia o subire la cosiddetta “maledizione di J Mascis”.
Il telefono continua a squillare.
“Non risponde”. Il giovane cronista è sconsolato.
Parte la segreteria. Stephen Malkmus non c’è. Bisogna chiamarlo più tardi.

Atto secondo:

Il giovane cronista prende in mano il telefono per l’ennesima volta. Nelle ultime ventiquattro ore ha provato a richiamare il numero decine di volte.
Di Stephen Malkmus ancora nessuna traccia. L’ufficio stampa cerca di trovare spiegazioni. In realtà nessuno sa cosa sia successo. Il telefono suona libero. Il giovane cronista si è ormai messo l’anima in pace. Ormai non crede più alla possibilità di portare a casa questa intervista.
Stephen Malkmus, l’ex cantante dei Pavement, ha appena pubblicato un nuovo album solista.
Avremmo dovuto parlarne, ma… niente, il telefono squilla ancora.
Il giovane cronista sta per attaccare quando:
“Hello!”
Malkmus risponde. L’intervista inizia

Ciao Stephen, avevo perso la speranza ormai…
“Eh sì, capisco. Ti chiedo scusa, ma non sai cosa è successo. Ho viaggiato di notte da Portland a New York e sono rimasto bloccato per delle ore in aeroporto. Un inferno. Anche perché non potevo avvertire nessuno, la mia famiglia…”
Vero, ho letto sul sito della Matador che stai per diventare padre.
“No, no. Lo sono già! Sono appena diventato papà (ride, ndi).”
Beh, devo dire che sei in buona compagnia. Quest’anno anche Lou Barlow e FrankBlackFrancis hanno avuto figli. Potreste farli conoscere e costringerli a mettere su una band.
Secondo me, con le royalties potreste vivere di rendita.
“Eh, sì. Mica male (ancora risate). Quasi quasi li chiamo. Comunque essere padre è bellissimo e strano al tempo stesso.”
Immagino che avrai parecchio tempo da spendere in casa, adesso.
“Oh sì. È fantastico. Sai, quando i bambini sono così piccoli e ancora non parlano, non è molto impegnativo stargli dietro. Se non sei la mamma, l’unica cosa che puoi limitarti a fare è prenderli in braccio e portarli in giro, fare le facce sceme. Cose così.
Fortunatamente sto approfittando della situazione per lavorare su un po’ di canzoni nuove.”
Molte saranno delle ninne-nanne, suppongo.
“Sì, anche. Ogni tanto provo a cantarle qualcosa. Ormai, non faccio in tempo a prenderla in braccio che comincia a frignare e mi guarda con un’espressione strana. Sembra quasi voglia implorarmi di non cantare. Probabilmente non le piaccio! A parte gli scherzi, ho un sacco di tempo da dedicare alla chitarra. Ho già accumulato un po’ di materiale su cui lavorare, solo che non riesco mai a concentrarmi sui testi. Però ti giuro che le parti di chitarra funzionano veramente bene.”

Anche questo disco appena uscito è “fatto in casa”.
Quando ne ho letto per la prima volta, avevo seriamente pensato che si trattasse di un album chitarra e voce. Un lavoro intimo e solitario. Invece è tutto il contrario.
“Il fatto è che neanche io so mai cosa potrà succedere quando inizio a lavorare ad un nuovo album. Comincio che ho in testa una direzione precisa e finisco con lasciarmi attrarre da soluzioni diverse. Per cui inizio ad usare strumenti diversi, a tirare fuori nuovi suoni, cambiare gli arrangiamenti ed alla fine mi ritrovo con un qualcosa che neanche io mi sarei mai aspettato.
Credo dipenda dal mio segno zodiacale. Sono dei gemelli e forse, anche se sono una persona sola, ogni volta che faccio un qualcosa è come se a farlo, effettivamente, fossero due persone.
Due persone in una sola.”
E’ così quindi che sono nati i pezzi più disco, perdonami la parola, come Pencil Rot e Kindling For the Monster. Sperimentando?
“Parli dei pezzi con la drum machine? Sì, anche quelli sono nati senza che avessero una direzione precisa dall’inizio. Sai, ultimamente ho scoperto un nuovo modo di scrivere le canzoni. Prima nascevano sempre con la chitarra. Adesso invece, mi diverto a cercare forme nuove.
E’ bellissimo come sia possibile creare una canzone intera partendo da una serie di loop, o da un pattern ritmico.”
Mi sbaglio, o per questi pezzi hai preso come modello un modo di concepire le canzoni, per così dire, “europeo”? Strano per uno come te, così fortemente americano.
“Sì, per questo disco ho ascoltato molta musica proveniente dall’Europa. Per esempio, non so se ti ricordi quella band svedese… gli Europe. Loro sono una grandissima fonte di ispirazione per me. Diciamo che più che alla musica europea mi sono ispirato agli Europe (scoppia di nuovo a ridere).
Schervavo, eh. Mica ci hai creduto davvero?”

No, ma stavo già cantando The Final Countdown. “Face The Truth” è il primo dei tuoi tre dischi solisti ad uscire solo a nome Stephen Malkmus.
I primi due erano nati in collaborazione con i Jicks. Cos’è, dobbiamo considerare questo come il tuo primo vero album?
“No, anche se ho lavorato da solo per la maggior parte del tempo, “Face the Truth” non sarebbe mai venuto fuori se non avessi potuto beneficiare dell’aiuto dei Jicks in alcuni pezzi. Ecco, diciamo che questo è un disco di Stephen Malkmus con un sacco di persone che aiutano Stephen Malkmus a seconda delle canzoni. Ci sono io, ma ci sono anche gli altri dei Jicks ed alcuni altri amici e musicisti di Portland.”

Proprio la città di Portland sembra avere, ormai, acquisito un ruolo importante nella tua musica.
Non so se ti è capitato di leggere la guida scritta da Chuck Palahniuk sulla tua città (in Italia edita da Mondadori con il titolo di Portland Souvenir). Secondo quel libro, Portland sarebbe una città bizzarra in cui tutto può accadere. E’ veramente così, com’è viverci?

“Sono ormai sette anni che sto lì e devo dire che è un bel posto. In realtà non così stramba come dice lui. Un po’ eccentrica lo è sicuramente, ma è comunque una città in cui è molto facile vivere.
Solo adesso sta diventando come tutte le altre città dell’America, in cui c’è molto caos, molte macchine in giro… ogni giorno nascono nuove band…
Per me non è un problema, io sto in un quartiere molto tranquillo, vicino a me abitano dei signori anziani ed un dottore. Io per loro sono solo ‘il tizio che suona il rock and roll ed abita nella casa all’angolo’. Loro non danno fastidio a me ed io non do fastidio a loro.”
Non ti manca affatto New York?
“Beh, ora sono qui. Ho un piccolo appartamento che divido con altre persone e ci torno quando posso. Diciamo che New York non è proprio il posto ideale per vivere quando si ha una…ehm… famiglia. Gli appartamenti sono più cari, è la vita in genere che lo è. Portland da questo punto di vista è molto più tranquilla, quasi hippie. Stando lì abbiamo potuto fare il parto naturale, cosa che a New York non sarebbe stato proprio possibile.”
Quanto tutta questa calma ha influito sui testi dell’album? A me sono sembrati sempre molto ben scritti ed ironici. Anche se un po’ più seriosi rispetto al passato. E’ il segno dei tempi che corrono, oppure una scelta legata più alla crescita personale?
“Sicuramente la seconda. Cerco sempre di essere molto accurato nella scrittura dei testi, anche se… non capisco tutta questa ricerca della ‘sincerità’ a tutti i costi. Secondo me la sincerità è un valore un po’ sopravvalutato. C’è questa idea che i cantautori siano degli stregoni, le uniche persone al mondo a conoscere la ‘verità’, le uniche persone in grado di far credere alla gente cosa è giusto e cosa no. A me questo non interessa, io non voglio scrivere canzoni ‘credibili’, voglio scrivere canzoni emozionanti. Emozionanti per me e per chi le ascolta, ma soprattutto per me”
Quanto conta la tua esperienza di lettore nei testi che scrivi?
“In realtà non molto, sono più le cose che mi succedono, la musica che ascolto e le apparecchiature che uso per registrarla che m’influenzano (ride, ndi). Comunque leggere mi piace molto, anche se ultimamente non ho trovato nulla di nuovo che mi ha fatto perdere la testa. Un libro che mi ha molto divertito è Lucky Jim di Kingsley Amis, il padre di Martin Amis. Poi mi è piaciuto The Public Image di Muriel Spark, una scrittrice inglese. Tra l’altro il libro è ambientato in Italia, però… che ti devo dire, la mia immaginazione è sicuramente più stimolata dalle cose che ti ho detto prima che dalla lettura.”
Che ruolo hanno le apparecchiature che usi per registrare? Cos’è, hai scoperto anche tu la tecnologia? Immagino che questo disco sia stato fatto con ProTools…
“No, no no. Scherzi? Quella roba non fa per me. Tutto quello che uso io dev’essere analogico. Lo so che adesso non lo fa quasi più nessuno, ma a me piace così. Non c’è spazio per il programming nella mia musica e nemmeno per le ‘macchinette’ che rendono intonata la voce. Ma questo mi sembra evidente, basta sentire come canto male (scoppia di nuovo a ridere, ndi).”

Hai visto cosa sta succedendo nel mondo della musica indie? I Modest Mouse hanno venduto un milione di copie e molti gruppi underground vengono chiamati a suonare in show e serie televisive come The O.C. Mi viene da chiedere cosa avrebbero potuto fare ora i Pavement, se solo suonassero ancora insieme. Pensi che avreste potuto ottenere un successo più grande?
“Probabilmente avremmo suonato anche noi in The O.C. Anche perché non penso sia così difficile finire in una loro puntata. Ovviamente scherzo, sono rimasto molto colpito da quello che è successo ai Modest Mouse. Un milione di copie, ti rendi conto? E’ tantissimo, ed in pratica loro lo hanno raggiunto grazie ad una canzone sola, ma non c’è una spiegazione logica per questo. Non significa nulla, non è significativo di un buon momento per il ‘movimento indie’. E’ solo un caso. Anzi un miracolo. Un vero miracolo, lo stesso che aveva fatto vendere cinquecentomila copie ai Breeders.
Vuoi sapere se sarebbe potuto accadere lo stesso con noi? No, per diversi motivi.
In primo luogo noi non avevamo dietro le spalle una ‘major major’ come la Sony.
Secondo: non avevamo la ‘canzone perfetta’. Ne abbiamo scritte tante di buone, ma quella perfetta mai. E va bene così: in fondo ci siamo divertiti ed avevamo un buon numero di fan, questo mi basta.”
Ultimamente si stanno riunendo tutti, ora anche i Dinosaur Jr. In pratica mancate solo voi e gli Husker Dü. Non vi passa proprio per la mente l’idea di tornare insieme?
“Credo che si riuniscano anche loro. Ma sai, per i terzetti è più facile. Anche per i quartetti come i Pixies, ma riunire un gruppo di cinque persone…è difficile, difficilissimo.
Il problema è il quinto uomo, non si trova mai, non si sa che fine abbia fatto. Il quinto uomo manca sempre e per colpa sua non ci si può riunire.”
Dai, sul serio: neanche la ristampa di “Crooked Rain, Crooked Rain! e l’attenzione che ha suscitato vi ha fatto pensare per un secondo di riformare la band? Sono passati quasi sei anni e c’è un sacco di gente che non vi ha mai visto e potrebbe ascoltare la vostra musica per la prima volta. Com’è accaduto per i Pixies, ad esempio.
“Sì, ma… io ho visto i Pixies lo scorso anno e fra qualche settimana suoneranno di nuovo qui a New York. Li ho visti e non ho quale sia la relazione tra quello che stanno facendo loro adesso e la musica. Non so perché lo stiano facendo, ma l’impressione è che dietro ci sia solo una questione di soldi ed io non voglio che per noi sia così. Potrebbe succedere di vedere i Pavement di nuovo insieme, magari per un concerto. Ma non ora e neanche fra cinque o dieci anni. E soprattutto non, noi non siamo mai stati un gruppo in grado di smuovere un grande business, per cui se ci riuniremo sarà solo per divertimento. Quando ci andrà lo faremo, ma non accadrà prossimamente.”
OK, OK. Cercavo di convincerti ma non ci sono riuscito. Ho letto però che ti sei ritrovato con qualcuno della band per registrare il nuovo Silver Jews. Giusto?
“Sì abbiamo collaborato al nuovo disco di David. Secondo me è venuto fuori qualcosa di veramente bello, anche se non ne so molto.
Io sono stato lì per una sola settimana e poi sono tornato a casa per finire il mio disco. Ultimamente sono molto impegnato con le mie cose e questo mi rende felice. C’è la promozione di questo album da fare, il tour da preparare ed un altro disco, per cui ho già preso un anticipo da un etichetta europea, da finire. Un sacco di cose e poi… ovvio…c’è la bambina.”
Allora ti lascio andare alle tue cose. Ultima domanda: tempo fa ho letto che il tuo obbiettivo massimo è quello di scrivere una canzone bella come Oceans dei Velvet Underground.Ci sei riuscito?
“No, però penso di essere riuscito lo stesso a scrivere belle canzoni. Belle in maniera diversa, ma comunque belle… decenti, quantomeno.”